Critica
L'impressione complessiva che generano i quadri di Remo Busana
è quella di una ricerca in atto: ricerca sull'uso dei
colori da privilegiare, sulle forme su cui esercitare la sua
inventiva, sui modi di farle dialogare, sul legame da mantenere
con la fisionomia “naturale” degli oggetti; una ricerca che
forse è anche aspirazione a chiarire il rapporto intercorrente
tra la propria attività “artistica” e la sua stessa
identità ideologica, psicologica, affettiva, professionale.
Ciò non meraviglia, tenuto conto che Remo Busana è
tutto sommato nuovo a questo genere di attività ed
espone al pubblico la prima volta singolarmente.
D'altra parte, è probabile che non sia un caso il
fatto che alcune sue curiose realizzazioni in plexiglas e
materiali di scarto da apparecchi elettronici prendano il
titolo complessivo di Identità : abbozzi di volti umani
che, come conferma lo stesso autore, non consegnano i tratti
di personalità individuali compiute, ma ipotesi di
umanità in cerca di definizione; e che in qualche modo
vengono ad essere specchi non solo di “altri da sé”
rispetto all'autore, ma anche di molteplici “sé” che
gli appartengono e che egli consegna ad una problematica decifrazione,
innanzitutto, forse , da parte di se stesso.
Questa dell' “identità” potrebbe essere una direzione
feconda per la futura attività di Remo Busana, anche
se, per ottenere risultati di maggior rilievo, sarebbe necessario
uno scatto di coraggio che lo porti ad allontanarsi da moduli
compositivi troppo facilmente riconoscibili per giocarsi in
pieno le possibilità semantiche di materiali e forme.
Un altro ambito in cui si muove l'attività di Remo
Busana è quello della “natura morta”. Le realizzazioni
di maggior interesse sembrano essere quelle in cui l'autore
non si attiene ai chichés puramente scolastici, ma
introduce “elementi di disturbo” rispetto ad essi, consistenti
spesso nella presenza di oggetti a decisa tensione rettilinea
in un contesto caratterizzato dalla assoluta prevalenza di
forme curvilinee, magari proiettate su uno sfondo disomogeneo
in quanto a colore.
E' forse individuabile in questi provocatori contrasti, la
consapevolezza di come un quadro non sia tout court una mimesi
oggettuale, ma il luogo dialettico di movimenti e luci in
reciproca tensione e indirizzati alla realizzazione di una
“discorde armonia” offerta alla collaborazione intelligente
dell'occhio di chi guarda.
Questa consapevolezza appare, però, praticata troppo
sporadicamente e, soprattutto, ancora un po' schematica: se
riuscirà a permeare di sé in maniera più
diffusa e sottile la tela, approderà a risultati certo
maggiormente apprezzabili.
Che questa sia una prospettiva plausibile lo dice un quadro,
che può essere considerato il più maturo di
questi presentati ( 11 settembre ), libero da pesanti preoccupazioni
mimetiche, impostato su due movimenti di direzione contrapposta
– l'uno, energico, ascendente e l'altro, indeciso, discendente
-, giocato unicamente sulla gamma tonale dei grigi più
o meno intensi, dove solo una piccola macchia rossa sta a
ricordare il dramma cruento.
Vincenzo Scherma
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